Quando non avremo più bisogno dell’8 marzo?

(di Giovanni Bevilacqua) Quando non avremo più bisogno dell’8 marzo? Quante panchine rosse ancora dovremo montare nelle piazze e nei giardini? Quante scarpe rosse dovremo ancora esporre per strada per ricordare la morte di una donna per mano di un uomo?
Si potrebbe continuare per un po’ con le domande. Lo scrivo da tanto: l’altro(a) (qualunque sia il suo volto) è lo specchio del mio esistere. Come lo specchio rimanda l’immagine riflessa di me, così è la persona davanti a me. Lo specchio riflette destra con sinistra, mai la testa con i piedi. Siamo uguali fino ad essere complementari. L’altra di fronte a me permette di scrutare di me ciò che non vedo, ciò che mi sfugge, perché i miei occhi mi portano fuori di me. Ecco il bello della persona davanti a me, mi scopre e mi racconta: mi descrive. Perciò ho bisogno di averla con me, perché è sempre capace di certificare della mia esistenza, di raccontare di me, di descrivere i miei contorni.
Quello delle donne non è un corpo da possedere ma una persona da leggere nel suo divenire.
